Le preoccupazioni per il numero di casi di cancro dovuto della sovraesposizione ai raggi solari UV, ha portato alla produzione e all’uso estensivo di prodotti per la protezione della pelle. I composti chimici utilizzati in questi prodotti, tuttavia, possono entrare nell’ambiente nei punti di produzione così come attraverso l’uso da parte del consumatore.
E’ già noto che i composti dei filtri UV hanno effetti tossici sugli organismi marini, ma la ricerca in questo campo è limitata e non tiene conto di alcune variabili, come le differenze nelle condizioni ambientali.
Il dottor Brett Sallach, del Dipartimento di Ambiente e Geografia dell’Università di York, ha detto: “Dato lo stato di declino degli ecosistemi della barriera corallina e i molti fattori di stress che già affrontano, è importante identificare la potenziale occorrenza e i rischi tossicologici associati all’esposizione ai filtri UV per gli ecosistemi della barriera.
“La nostra ricerca mirava a identificare le ricerche in corso e le lacune nella nostra conoscenza. È importante capire quali aree potrebbero essere considerate prioritarie per l’attenzione futura al fine di comprendere gli impatti di questi prodotti e, auspicabilmente, prevenire ulteriori danni all’ambiente.
“Indubbiamente i prodotti che possono aiutare a proteggere dagli effetti nocivi delle radiazioni UV sulla salute umana sono enormemente importanti, e quindi abbiamo bisogno di prove affidabili ed estese per suggerire qualsiasi cambiamento o ridimensionamento di questi prodotti”.
I ricercatori si sono consultati con esperti e rappresentanti dell’industria nel campo dell’esposizione marina ai filtri UV per capire i limiti della ricerca attuale e quali aree richiedevano un’attenzione urgente.
Essi hanno scoperto che la maggior parte della ricerca sui composti dei filtri UV si concentra su organismi ed ecosistemi d’acqua dolce, e che le condizioni ambientali possono aumentare o diminuire la risposta agli elementi tossici, rendendo il vero rischio dei composti difficile da stabilire.
Questa ricerca non si traduce facilmente all’ecologia unica delle barriere coralline, e quindi sarebbe necessario un monitoraggio ambientale a lungo termine nei climi tropicali e subtropicali per capire gli effetti tossici qui.
Yasmine Watkins, che ha condotto il lavoro come parte del suo Master nel Dipartimento di Ambiente e Geografia, ha detto: “Facciamo quattro raccomandazioni per le aree di ricerca prioritarie che vanno avanti, basate sulla nostra consultazione con gli esperti. Abbiamo bisogno di più lavoro nel campo della comprensione della tossicità dei filtri UV in diverse condizioni climatiche, e di uno studio a lungo termine sull’esposizione e il recupero delle barriere coralline.
“Abbiamo anche bisogno di conoscere l’esposizione realistica a questi composti e per quanto tempo esistono nell’ambiente marino, per determinare quali sono i limiti ‘sicuri’“.
I ricercatori mirano ad evidenziare queste aree prioritarie per informare meglio chi si occupa di regulation e i responsabili politici per migliorare la conservazione e la gestione delle barriere coralline, garantendo al contempo che la salute umana possa continuare ad essere protetta dai prodotti con filtro UV.