Le mele sono tra i frutti più consumati al mondo. Studi di carattere epidemiologico, che per loro natura non permettono di dimostrare una reale relazione di causalità tra i fenomeni osservati, mostrano un’associazione negativa tra il consumo regolare di mele e i livelli di alcuni marker infiammatori, considerati fattori di rischio per le patologie cardiovascolari. L’azione antinfiammatoria di questi frutti è attribuita principalmente all’elevato contenuto di sostanze bioattive come le fibre e vari componenti minori, in particolare i polifenoli, dotati anche di una spiccata azione antiossidante.
Per questo studio randomizzato e controllato 46 volontari di età compresa tra 18 e 75 anni, esenti da patologie ma in condizioni di sovrappeso e obesità (BMI superiore a 25) sono stati suddivisi in due gruppi: al primo è stato chiesto di non consumare mele per 6 settimane, mentre al secondo di consumarne tre intere (compresa la buccia) al giorno come parte della dieta abituale per lo stesso periodo di tempo. Nelle due settimane precedenti e per tutta la durata dello studio è stato anche chiesto a ogni partecipante di evitare cibi e bevande ricchi di fibre e polifenoli.
Al termine del periodo di intervento, il profilo infiammatorio dei soggetti randomizzati al consumo di mele è risultato migliorato significativamente rispetto a quello del gruppo di controllo, con una riduzione del 17% dei livelli sierici di proteina C-reattiva (PCR) e del 12% di quelli di interleuchina 6 (IL-6), che sono tra i principali biomarcatori di infiammazione, e sono in genere elevati nei pazienti in condizioni di obesità. Nel gruppo di intervento la capacità antiossidante totale del sangue è inoltre aumentata del 10% circa rispetto al gruppo di controllo.
Sebbene il consumo di mele non sia risultato significativamente correlato con il peso corporeo o con il profilo glucidico, è interessante il suo ruolo potenziale nel controllo dello stato infiammatorio, condizione comunemente osservata in soggetti in sovrappeso e obesi, e implicata nello sviluppo di alcune patologie croniche non trasmissibili come quelle cardiovascolari. Sono tuttavia necessari trial che prevedano periodi di intervento più lunghi, concludono gli autori, per poter avere ulteriori conferme dell’attività antinfiammatoria di questo frutto così popolare, e che ha anche l’innegabile pregio di un costo assai contenuto.