Negli Stati Uniti, dal 2018, in seguito alla riforma sanitaria “Affordable Care Act”, nota anche come “Obamacare”, è tra altre cose obbligatorio fornire l’indicazione del contenuto calorico dei piatti offerti nei menù dalle grandi catene di ristoranti e fast food con più di 20 punti vendita. Questa norma è stata introdotta per aumentare la consapevolezza del contenuto calorico (spesso sottovalutato) e di nutrienti dei cibi acquistati e consumati fuori casa e per incoraggiare i punti vendita a offrire prodotti sempre più equilibrati, con l’obiettivo finale di aumentare la trasparenza e l’informazione alimentare e di ridurre l’obesità e le malattie croniche correlate.
Sebbene diversi Paesi abbiano adottato questo tipo di etichettatura, le prove a sostegno di una sua reale efficacia nel modificare i comportamenti dei consumatori verso scelte più sane e consapevoli sono ancora limitate e contraddittorie.
Analizzando i dati di vendita di un’importante catena di fast food in 3 Stati americani, alcuni ricercatori di Harvard hanno calcolato che, un anno dopo l’introduzione dell’obbligo di specificare calorie e nutrienti nei propri menù, il contenuto calorico dei pasti acquistati era ridotto mediamente del 4,7% rispetto al periodo pre-etichettatura. Inoltre, nonostante la composizione nutrizionale generale dei pasti rimanesse simile ai livelli precedenti l’obbligatorietà dell’etichettatura e superasse comunque le raccomandazioni delle linee guida nutrizionali, la qualità dei pasti scelti è risultata lievemente migliorata: soprattutto per quanto riguardava il contenuto di acidi grassi saturi, che sono passati dal 12,6% al 12% delle calorie dei pasti consumati e l’apporto di fibre, che è aumentato da 10,9 g a 11,6 g ogni 1.000 calorie introdotte. Gli autori sottolineano come tali variazioni siano da attribuire non tanto alla migliore qualità nutrizionale dei piatti preparati nei ristoranti quanto alla minore quantità di cibo acquistata per singola occasione dopo l’adozione dell’etichettatura nutrizionale: infatti, è risultato ridotto il valore energetico per singolo acquisto, ma non il contenuto calorico del singolo piatto.
Le riduzioni osservate, anche se piccole, potrebbero avere un impatto favorevole sul bilancio energetico a livello di popolazione, nonostante la grande variabilità dell’effetto rilevato in base allo status socioeconomico dei consumatori (la riduzione dell’intake calorico per pasto era dimezzata nelle zone meno agiate rispetto alle altre). È inoltre ragionevole ipotizzare che questa strategia possa influenzare le scelte dei consumatori e condizionare in un secondo tempo l’offerta dei ristoranti. Nel presente studio, ad esempio, anche se non si è osservata una riformulazione del menù standard offerto ai clienti, l’obbligo di etichettatura sembra aver spinto la catena di fast food a introdurre più piatti a basso contenuto calorico, consentendo quindi una maggiore scelta ai consumatori.
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