Nei soggetti con diagnosi confermata di malattia celiaca l’unico trattamento efficace per contrastare i disturbi legati al consumo di glutine consiste attualmente nell’adozione di una dieta che ne sia completamente priva, e che escluda quindi tutti gli alimenti che lo contengono. In questo contesto, è quindi della massima importanza identificare le possibili strategie alternative in grado di prevenire la malattia, evitandone l’insorgenza.
I ricercatori di questo studio hanno valutato i dati del più ampio EAT study (Enquiring About Tolerance), uno studio clinico randomizzato condotto su 1303 neonati seguiti per 3 anni di vita, dal 2009 fino al 2012, il cui scopo principale era di individuare il momento migliore per introdurre gli alimenti allergenici nella dieta dei neonati, in modo tale da ridurre al minimo il rischio di sviluppare possibili malattie allergiche, tra le quali anche quelle alimentari, oltre alla celiachia. Nello specifico, è stato chiesto alle madri dei neonati arruolati di allattare esclusivamente al seno per i primi 3 mesi di vita. Successivamente i neonati sono stati divisi in due gruppi: alle madri del primo gruppo, definito di introduzione precoce (EIG), è stato chiesto di inserire nell’alimentazione del bambino alimenti allergizzanti, come latte vaccino, uovo di gallina, arachidi, sesamo, merluzzo e grano, continuando peraltro l’allattamento al seno; alle madri del secondo gruppo, di introduzione standard (SIG), è stato invece chiesto di continuare con l’allattamento al seno esclusivo fino al compimento dei 6 mesi di vita.
All’età di 3 anni, i ricercatori hanno potuto misurare i livelli anticorpali di antitransglutaminasi di tipo 2 (anti-TG2), immunoglobuline considerate marker diagnostici per la malattia celiaca, su campioni di siero di 1004 dei 1303 bambini arruolati nello studio EAT. Dall’analisi è emerso che 9 neonati (7 nel gruppo SIG e 2 in quello EIG) mostravano livelli di anti-TG-2 superiori al valore soglia (>20 IU/L) oltre il quale era consigliata una valutazione gastroenterologica specialistica. Al termine dell’iter diagnostico, 7 bambini su 516 (1,4%) del gruppo SIG hanno ricevuto conferma della diagnosi di malattia celiaca, mentre la diagnosi non è stata posta in alcun bambino dei 488 del gruppo EIG.
I risultati dello studio suggeriscono pertanto che una precoce introduzione del glutine nella dieta del bambino si associ in maniera sensibile alla riduzione della probabilità di risultare positivo alla diagnosi di celiachia al terzo anno di vita. Gli autori suggeriscono tuttavia di interpretare questi dati con cautela, dato che non si può escludere che la celiachia si possa manifestare nei bambini in una fase successiva della vita, e sottolineano che è pertanto possibile che l’introduzione precoce del glutine abbia solamente ritardato l’insorgenza della malattia, piuttosto che impedito completamente. Sarà anche importante definire con maggiore precisione le quantità di glutine che massimizzano gli effetti di prevenzione della malattia celiaca.
I risultati di questo studio confermano tuttavia la validità della raccomandazione, già formalizzata da alcuni gruppi internazionali, ad un’introduzione precoce del glutine nella dieta dei bambini.