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- 05/24/2022

Varietà resilienti per il contrasto ai cambiamenti climatici

Nutra Horizons IT

Il 4 aprile 2022, è stata pubblicata l’ultima parte del “VI Rapporto di valutazione dell’IPCC” (il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico). Il verdetto è drammatico: se la civiltà umana non modifica radicalmente il rapporto con la natura, di qui alla fine del secolo, il riscaldamento globale potrebbe arrivare a sfondare quota 3 gradi al di sopra dei livelli pre-industriali, aprendo scenari catastrofici. In altre parole, il futuro è già qui: occorre pensare la fine.

 

 

Cosa significa? Significa, innanzitutto, riconoscere che eventi, un tempo remoti e poco probabili, sono ora un orizzonte vicino e definito; sappiamo cosa ci riserva un futuro ormai alle porte. Le avvisaglie sono già incontrovertibili: intere zone del mondo flagellate da siccità e desertificazione senza precedenti, estinzione di massa negli oceani (l’aumento della temperatura, la diminuzione dell’ossigeno e l’inquinamento da plastica stanno già provocando danni a vongole, gamberetti, alle barriere coralline ed a numerosi pesci), molte popolazioni che vivono in condizioni di grave siccità idrica, fenomeni meteorologici sempre più erratici e imprevedibili, 700 milioni di persone che rischiano entro i prossimi cinque anni di dover abbandonare i luoghi in cui vivono (profughi climatici).

 

Il paradosso dell’agricoltura

 

L’agricoltura contribuisce al cambiamento climatico ma, a sua volta, ne subisce gli effetti; essa deve quindi affrontare una doppia sfida: ridurre le emissioni di gas che alterano il clima (mitigazione) e, contemporaneamente, adattarsi alle nuove condizioni climatiche (resilienza).
Per ridurre l’impatto sull’ambiente è necessario un radicale cambiamento dei modelli di agricoltura fin qui perseguiti: oggi, produrre significa impiegare meno suolo, meno presidi chimici, minori emissioni di CO2 nell’aria, ottenere alimenti salubri ricercati da un consumatore sempre più attento.
Produrre cibo salvaguardando al contempo l’ambiente 
L’agricoltura, perciò, al pari di altre attività, deve contribuire alla riduzione del livello complessivo delle emissioni e può farlo sia in modo diretto, che indiretto.
Nel primo caso, utilizzando con criteri più razionali i mezzi tecnici (combustibili, lubrificanti, concimi, fertilizzanti, fitofarmaci), nel secondo caso, sfruttando le prerogative delle piante verdi di sottrarre CO2 dall’atmosfera e trasformarla, mediante fotosintesi, in biomasse vegetali, che vengono trasferite (totalmente o in parte) al terreno (“sequestro” del carbonio).
Perciò, la riduzione del global warming operata dall’agricoltura si attua anche attraverso rimboschimento, ripristino delle terre degradate, aumento dell’accumulo di carbonio nel suolo, riciclo e valorizzazione dei rifiuti per la produzione di energie rinnovabili; ovvero,  attraverso modelli colturali sostenibili in grado di valorizzare le interazioni biologiche tra tutte le componenti degli agro-ecosistemi e ridurre gli sprechi, secondo i principi dell’economia circolare (compostaggio dei rifiuti organici, trattamento controllato delle acque di scarico, riciclo dei rifiuti).

 

Carbon farming

 

Per gli agricoltori si aprono nuove prospettive: la possibilità di sequestrare nei terreni agricoli anidride carbonica ed essere pagati per questo. Si tratta della possibilità di essere remunerati nel caso in cui si adottino pratiche volte a immagazzinare nel suolo anidride carbonica, il principale gas ad effetto serra prodotto dall’uomo. Lo scorso anno alcuni agricoltori hanno incassato i primi assegni da piattaforme dedicate, che mettono in collegamento grandi aziende desiderose di compensare la propria impronta carbonica e agricoltori che hanno adottato pratiche di agricoltura conservativa. In poche parole, industrie o società di servizi che vogliono avere un impatto climatico neutrale comprano dagli agricoltori, attraverso specifiche piattaforme, crediti di carbonio (i cosiddetti carbon credit). In pratica: io azienda emetto CO2 in atmosfera, ma pago un agricoltore per intercettarla e sequestrarla.
Il meccanismo di gestione dei crediti di carbonio è alquanto complesso, poiché la quantità di carbonio sequestrata all’interno di un terreno agricolo dipende dalle caratteristiche del suolo, dal tipo di coltivazione, dall’area geografica in cui si opera e dal metodo di calcolo adottato. Difficoltà ci sono nelle quotazioni dei crediti di carbonio: si stima che cento euro per tonnellata di CO2 sequestrata potrebbero rappresentare un importo congruo per stimolare questo nascente mercato. Ma quante aziende che operano nel mercato volontario sono disponibili a spendere queste cifre? Le cose cambierebbero molto se tutte le aziende, specialmente quelle più energivore, fossero obbligate ad acquistare crediti di carbonio e se, come sembra, anche l’agricoltura entrasse nel meccanismo europeo obbligatorio.   

 

Intensificazione sostenibile dell’agricoltura

 

Nel medio e lungo periodo, per rendere le rese agricole in grado di rispondere all’incremento del fabbisogno alimentare, l’agricoltura dovrà aumentare la produzione.
Per fare ciò, non è pensabile trasformare su larga scala foreste e boschi in campi coltivati (significherebbe, peraltro, aumentare la deforestazione, fenomeno contro il quale si combatte).
La soluzione è intensificare prestando grande attenzione alla sostenibilità ambientale ed economica del processo produttivo. Cioè inserire più conoscenza e tecnologia nella filiera produttiva, traendo vantaggio dai progressi della scienza, della tecnologia, anche nel campo dell’informazione e della comunicazione: “più conoscenza per ettaro”, secondo una recente e felice definizione della UE. E’ soprattutto questa la forma di intensificazione su cui si dovrebbe puntare in futuro. Su questi aspetti giocano un ruolo chiave la formazione del personale, la didattica, la ricerca ed il trasferimento tecnologico. 

 

Resilienza dei sistemi agricoli (per l’adattamento ai cambiamenti climatici)

 

Le azioni per aumentare la resilienza dei sistemi agricoli si identificano, in estrema sintesi, con l’uso sostenibile dei pesticidi e dei fertilizzanti (attraverso la maggiore diffusione dei metodi di lotta integrata contro gli organismi nocivi, la gestione corretta delle concimazioni, il monitoraggio delle condizioni fitosanitarie, la rotazione delle colture) e, soprattutto, con l’impiego di varietà resistenti/resilienti alle avversità biotiche e abiotiche vecchie e nuove.
Le piante per un Pianeta che cambia
La pianta per il futuro deve produrre di più per dare cibo a oltre 9 miliardi di persone (senza consumare altro suolo), deve avere resilienza verso nuove condizioni ambientali provocate dai cambiamenti climatici, deve garantire la sostenibilità delle produzioni agricole. In particolare, gli interventi sulla pianta devono migliorare: l’assorbimento di acqua e nutrienti; i caratteri qualitativi, salutistici e funzionali del prodotto; la resistenza a stress biotici (malattie, parassiti, nematodi) e abiotici (siccità, salinità, ozono); il sistema di difesa delle piante, soprattutto dai parassiti alieni, e l’interazione con microrganismi utili (rizobatteri promotori di crescita, antagonisti di malattie, endofiti).

 

Il miglioramento genetico, oggi

 

Il miglioramento genetico del XXI secolo non può ignorare lo straordinario sviluppo delle conoscenze riguardanti la struttura e le funzioni del Dna e dell’Rna, la disponibilità di raffinati strumenti per identificare e isolare i geni, la possibilità di modificare sequenze sito-specifiche (genome editing), che permettono un miglioramento genetico di precisione.
L’analisi su larga scala del trascrittoma ha evidenziato che molti geni sono attivati o repressi in risposta agli stress (stress-related genes). I diversi geni individuati, oltre ad avere un ruolo diretto nella protezione delle cellule dai danni causati da stress, sono coinvolti nell’attivazione di circuiti di regolazione che controllano l’intero network della risposta a stimoli esterni: sintesi di antiossidanti, di enzimi che modificano i lipidi della membrana cellulare (aumentandone la stabilità), di sostanze che proteggono le foglie dalla disidratazione, di proteine che mantengono l’equilibrio ionico nei succhi cellulari, di fattori di trascrizione che regolano vie metaboliche coinvolte nell’adattamento della pianta agli stress.
I geni coinvolti sono divisi in due categorie: geni funzionali, che includono geni implicati nella sintesi di molecole e proteine con ruolo protettivo di processi cellulari cruciali (proteine protettive, enzimi detossificanti, osmoliti compatibili ed altri) e geni regolatori, codificanti proteine regolatrici che modulano l’espressione dei geni appartenenti alla prima categoria. I fattori di trascrizione sono considerati ottimi targets per rendere una pianta tollerante a stress. Per esempio, sequenze geniche responsabili di un maggior contenuto di glicinbetaina sono state trasferite in pomodoro, aumentandone la tolleranza a stress salino.
Inoltre, nelle piante sono particolarmente attivi, durante lo sviluppo, alcuni microRNA che controllano la risposta agli stress ambientali (per esempio, siccità e carenza di nutrienti nel terreno) e all’attacco di agenti patogeni. Agiscono spegnendo altri geni in modo mirato e controllando, in questo modo, la sintesi di nuove proteine. Parallelamente, si sta procedendo al sequenziamento del genoma di diversi funghi fitopatogeni, la cui analisi apre la possibilità di meglio comprendere quali siano i meccanismi evolutivi che determinano la patogenicità.

 

Costituzione di varietà resilienti

 

La costituzione di nuove varietà può essere ottenuta attraverso un miglioramento genetico evoluto, cioè in grado di combinare metodi tradizionali di breeding con conoscenze nuove sui geni scaturite da genomica, metabolomica e proteomica.
Sono oggi disponibili le sequenze genomiche di specie modello quali Arabidopsis, Brachypodium, Medicago truncatula (oltre a quelle di specie di elevato interesse agronomico quali riso, mais, vite, melo, pioppo, patata, pomodoro, orzo e frumento). La sintenia di regioni cromosomiche conosciute con quelle di specie affini ha permesso di identificare sequenze di DNA associate a caratteri utili (marcatori molecolari) che possono essere utilizzate in tecniche di selezione assistita. L’avvento dei marcatori molecolari ha consentito di identificare la base genetica di caratteri qualitativi e quantitativi (QTL) e di velocizzare le procedure di selezione.
Un target importante nel miglioramento genetico è lo sviluppo di tipologie varietali innovative per sistema riproduttivo o per architettura della pianta: una migliore utilizzazione del suolo attraverso le radici o una diversa architettura della pianta per concentrare i fitonutrienti nella sua parte commestibile, a discapito di altre, rappresentano l’obiettivo di alcuni programmi di selezione in pomodoro e patata.
Fino adesso, gli studi sono stati rivolti principalmente a fisiologia, metabolismo e genetica della parte aerea delle piante. Oggi, invece, una maggiore attenzione viene rivolta alle radici, per migliorare l’efficienza d’uso dell’acqua, dell’azoto e degli altri elementi nutritivi. Attenzione viene posta ai microrganismi che vivono intorno o dentro le radici. Questa nuova visione ha stimolato ricerche intese a monitorare l’evoluzione del metagenoma microbico al variare dei diversi sistemi colturali e degli ambienti. Si ipotizza che la performance delle piante coltivate possa essere esaltata anche da specifici inoculi microbici, che interagiscono con gli elementi fisico-biochimici del suolo e con il genoma della pianta, promuovendo l’espressione di caratteri agronomici utili

 

Qualche riflessione

 

Il miglioramento genetico moderno ha raggiunto livelli di efficienza elevati. La produzione di milioni di dati sulle sequenze genomiche delle specie coltivate resa possibile da sequenziatori di Dna sempre più potenti, precisi e veloci, integrata dallo sviluppo di algoritmi di analisi sofisticati genera una notevole quantità di big data. Tali informazioni molecolari combinate con tecniche di selezione assistita da marcatori molecolari (MAS) e con la performance in campo delle popolazioni in selezione indirizzano meglio il lavoro di miglioramento genetico per la produzione di nuove varietà di élite.
Paradossalmente, però, nelle Università e nei Centri di ricerca sempre meno ricercatori sono impegnati nel lavoro di selezione e miglioramento varietale: essi sono maggiormente attratti da temi di ricerca di frontiera, ignorando quasi totalmente la ricerca applicata. A questo punto, si vuole essere chiari: la ricerca di base rappresenta il «motore» per l’avanzamento delle conoscenze; i lavori scientifici che ne scaturiscono solitamente sono pubblicati su Riviste ad alto Impact Factor (IF). La ricerca applicata, invece, nell’accezione più comune, è considerata «meno nobile», però quanto è necessaria per trasferire a livello applicativo le innovazioni ottenute in laboratorio!
Ovviamente, non si desidera rinvigorire la vecchia diatriba inerente la missione dei centri pubblici; ovvero, se debba essere quella di arrivare allo sviluppo di varietà oppure fermarsi alla costituzione di materiali genetici prebase, successivamente rilasciati a imprese sementiere che completano la selezione della nuova varietà. Certamente, si è consapevoli che le principali aziende sementiere, molte delle quali grandi multinazionali private, dispongono di maggiori facilities e risorse finanziarie e umane. Esse, però, sono principalmente focalizzate sulle piante di maggiore importanza, coltivate su ampie superfici (agricoltura di tipo industriale).
L’agricoltura italiana, invece, è molto variegata per condizioni agro-climatiche, struttura delle aziende agricole, modelli colturali e tradizioni alimentari; in essa, accanto a grandi realtà produttive, ci sono anche piccole aziende a conduzione familiare che valorizzano le particolari condizioni ambientali in cui operano e forniscono prodotti di eccellenza, di grande valore commerciale; si pensi all’agricoltura delle nostre regioni meridionali che produce primizie (patate, carciofi, legumi, fragole e molte altre ortive) e che raggiungono i mercati del Nord prima di fine inverno! Bene, queste realtà produttive necessitano di cultivar aggiornate, che rispondano alle loro esigenze (che possono cambiare anche per il veloce mutare delle preferenze dei consumatori) e che devono essere selezionate “in loco”. Peraltro, gli effetti dei cambiamenti climatici (temperature alte, ridotta piovosità, ecc.) si manifestano con maggiore intensità rispetto alle aree del Nord e, quindi, la selezione delle nuove varietà deve tenerne conto.
Finché i concorsi per le progressioni di carriera sono basati principalmente sui classici parametri bibliometrici (IF, h-index e altri), una fascia di ricercatori sarà penalizzata e sempre meno personale si dedicherà al breeding! Non sembra azzardato ritenere che una nuova varietà che abbia successo, e incida significativamente sulla realtà produttiva di un territorio, debba garantire al suo costitutore una valutazione concorsuale equivalente ad uno o più lavori pubblicati su Riviste ad alto IF (Science, Nature, PNAS, ecc). Solo così si eviterebbe di importare materiale sementiero dall’estero e pagare royalties a imprese straniere.  

George Orwell divideva gli Umani in due categorie: gli Utopisti, con la testa fra le nuvole, e i Realisti, con i piedi nel fango ovvero sulla terra. Gli agricoltori appartengono sicuramente a questa seconda categoria!